Non solo un tradizionale approccio verso gli autori: il Festival dimostra di andare ben oltre
L'appuntamento è al 2026 (dal 9 al 13 settembre), quando le edizioni raggiungeranno quota trenta. Nel frattempo, però, Festivaletteratura si gode il successo di quest’anno. I numeri, come da pronostico, sono da record: 69 mila presenze (di cui 47 mila a pagamento e 22 mila a ingresso libero), ben 160 eventi su 261 sold out, più di 300 tra autori e autrici presenti, senza dimenticare il prezioso contributo dei 550 volontari. Un’edizione che ha registrato anche un’ampia partecipazione da parte del pubblico più giovane. Il Festival, infatti, ha dimostrato un interesse semprevivo nei confronti delle nuove generazioni, coinvolgendole in diverse attività. Ne sono esempi di successo l’esperienza di Sognare forte, la residenza poetica e comunitaria che ha impegnato per due giorni ragazze e ragazzi al Forte di Pietole, alla ricerca di nuovi mondi possibili; oppure la Casetta editrice, una stamperia laboratoriale nella Casa del Mantegna, che ha mostrato ai più piccoli alcune pillole dell’arte editoriale.
Notevole anche l’afflusso di visitatori in due spazi aperti ad accesso libero, nati dal percorso LAB – Libri Acque Boschi (in collaborazione con le scuole): l’Ecobiblioteca in Piazza Alberti, gestita dagli studenti e rivolta alle tematiche ambientali, e la Mappa delle Acque, in Piazza Sordello, utile a scoprire i dati sull’ecosistema dei laghi di Mantova.
Mantova ha vissuto le sue cinque giornate di gloria, registrando il tutto esaurito in molti alloggi e locali. Parcheggi pieni, ristoranti presi d’assalto e vie del centro affollate: ecco gli ingredienti per un successo annunciato. Tra l’altro, questa edizione ha accolto nella mappa del Festival nuove location, alcune suggestive – il neonato Museo Virgilio nel Palazzo del Podestà e il Forte di Pietole – altre insolite – il Cimitero monumentale di Mantova.
Il Festival divide, fa discutere, ma attira sempre. Ci sono i grandi nomi (Saviano, Scurati, Cecilia Sala, Severgnini…), capaci di reclutare il pubblico più ampio e di far registrare il tutto esaurito. Ma la vera anima della rassegna, forse, va cercata altrove, ovvero negli eventi meno pubblicizzati e più settoriali. Quegli incontri dove la cultura – quella vera –supera gli idoli della popolarità e della politica, per raggiungere il cervello(e il cuore) delle persone.
In occasione dei 500 anni di Palazzo Te, gli organizzatori hanno dato vita al format “Festival 1525”, un ciclo di quattro incontri nei quali si è immaginato di ambientare la kermesse letteraria nell’anno in cui uscirono alcune opere fondamentali del Cinquecento. Tra queste, ce ne sono due che alimentarono la polemica religiosa di quegli anni: da una parte, il “De libero arbitrio” di Erasmo da Rotterdam; dall’altra, il “De servo arbitrio” di Martin Lutero. Due libri usciti a distanza di pochi mesi e destinati a diventare iperni del dibattito intorno ad un dilemma secolare: l’essere umano può concorrere in maniera attiva alla propria salvezza (in particolar modo, attraverso la mediazione della Chiesa), oppure deve sottostare a Dio?
Il tema è stato approfondito da due relatori giovani e competenti, Martina Dal Cengio (ricercatrice in Letteratura italiana) e Michele Lodone (docente di storia medievale). Il loro dialogo si è sviluppato, innanzitutto, nella direzione di una presentazione dei due contendenti. Erasmo era il principe degli umanisti europei, intellettuale cosmopolita dalla prosa efficace e affascinante. Tra le sue opere di maggior successo, “L’elogio della follia” e l’edizione critica del Nuovo Testamento, con traduzione in latino.
Lutero, invece, era divenuto famoso per le 95 tesi con cui aveva denunciato le malefatte della Chiesa dell’epoca, il che gli era valso la scomunica da parte di papa Leone X. Dopo essersi rifiutato di ritrattare difronte a Carlo V, il monaco tedesco aveva trovato rifugio presso il principe elettore di Sassonia, prima di fare ritorno a Wittenberg per organizzare la propria riforma della Chiesa.
Due profili molto diversi: Erasmo “protetto” e ammirato dal panorama politico e religioso, Lutero minacciato e detestato dai poteri forti.
Non si incontrarono mai di persona, ma ebbero una fitta corrispondenza. Lutero scriveva spesso ad Erasmo, il quale preferiva non scendere troppo in polemica, un po’ per opportunismo, un po’ per il suo temperamento equilibrato. Sul tema dell’arbitrio, tuttavia, lo scontro è inevitabile: il filologo olandese è convinto che l’uomo possa guadagnarsi la salvezza tramite le proprie azioni sulla terra, mentre l’agostiniano tedesco ritiene che ci si possa salvare per sola fede.
Il loro dibattito merita di essere studiato per vari motivi. In primis, perché affronta la questione del merito, tuttora discussa. Inoltre, attuale è anche il metodo con cui i due intellettuali impostarono la diatriba: i dubbi della ragione contro la certezza della fede. C’è, infine, un terzo motivo: queste due pubblicazioni contribuirono a far decollare il mercato del libro, che ad inizio Cinquecento era agli albori. Infatti, dato che la discussione coinvolgeva religiosi e laici, dotti e analfabeti, donne e uomini, le due opere divennero i primi best-seller nella storia dell’editoria italiana.
Uno degli aspetti più avvincenti della letteratura è la sua natura tentacolare, che la porta a spingersi in diversi campi, tra qui quello da calcio. Il football, quando diventa storia, assume i crismi di materiale poetico. Servono, però, degli abili cantori, come Federico Buffa, giornalista di Sky e raffinato narratore di sport. Ospite fisso del Festival, quest’anno ha dialogato con Alessandro “Billy” Costacurta, colonna del Milan per oltre vent’anni.
In una piazza Castello gremita (presente anche l’allenatore del Mantova, Possanzini), l’ex difensore classe 1966 ha riaperto il libro dei ricordi. I primi riguardano l’inizio della sua carriera, funestato dalla morte del padre: “Avevo solo 17 anni, non ha fatto in tempo a vedere i miei trionfi. Tuttavia, la sua scomparsa mi ha spinto ad impegnarmi di più a livello agonistico”.
L’ingresso nelle giovanili rossonere nel 1980, pochi giorni dopo la strage della stazione di Bologna (“Mia madre non voleva che viaggiassi in treno da Varese a Milano”). I primi allenamenti con il “maestro” Franco Baresi, che da lì a qualche anno avrebbe formato con lui e con Maldini una delle difese più forti di sempre. In quel periodo nasce anche il soprannome con cui tutti lo conoscono: “Il Billy era una squadra di basket di Varese, dove avevo giocato da ragazzino. Quando mi allenai la prima volta nel Milan, ero bravo con le mani, mentre faticavo con i piedi. Così, l’allenatore mi disse: Va’ a giocare nel Billy!”.
Indimenticabile l’esordio in maglia rossonera. Correva l’anno 1987 e sulla panchina del Diavolo sedeva un esordiente Arrigo Sacchi. Sesta giornata del girone d’andata. Il Milan scendeva in campo col Verona, ancora scottato dall’eliminazione in coppa per mano dell’Espanyol. In un clima di contestazione, Sacchi faceva esordire Costacurta al posto dell’esperto Filippo Galli. Debutto convincente, che segnava l’inizio di una doppia epopea: quella di Billy e quella del Milan di Silvio Berlusconi.
Il suo palmares vanta cinque Coppe dei Campioni/Champions League e sette scudetti. Una lunga militanza spintasi oltre la soglia dei quarant’anni. Il ritiro nel 2007, non prima di essere diventato il calciatore più anziano ad andare a segno nella storia del campionato italiano.
In mezzo, la parentesi in Nazionale, non altrettanto fortunata. Ai mondiali del 1994, l’Italia di Sacchi (ancora lui), arrivò in finale ma venne sconfitta ai rigori dal Brasile. Tutti ricordano le lacrime di Roberto Baggio e l’eroismo di Baresi, sceso in campo nonostante un grave infortunio. Costacurta ha svelato al pubblico del Festival alcuni retroscena. “Nessuno voleva stare a tavola con Sacchi, perché lui parlava sempre e solo di tattica. L’unico che lo ascoltava sempre era Antonio Conte, e non è un caso che oggi sia uno dei più forti allenatori in circolazione”. E poi un aneddoto sulla notte prima della gara con il Brasile: “Non riuscivo a dormire, così mi misi a camminare per i corridoi dell’albergo. Passando vicino ad una stanza sentii il ct e Baggio che litigavano: Roberto voleva a tutti i costi giocare, mentre Arrigo preferiva tenerlo in panchina visto l’infortunio che aveva avuto. Quando vidi Sacchi andarsene furibondo, capii che Baggio avrebbe giocato la finale”.
Il filologo Giulio Busi ha compiuto con “La sposa mistica” un viaggio ideale lungo quattromila anni di letteratura, per analizzare testi che ruotano attorno al simbolismo. Il pubblico del Bibiena ha potuto apprezzare le sue letture, tratte dalle più svariate fonti, con l’accompagnamento musicale dei brani composti dal maestro Luca Lombardi ed eseguiti dal pianista Leonardo Zunica.
Lo sposalizio mistico è un’unione fisica e passionale che coinvolge una donna terrestre e un dio, o viceversa. I testi analizzati da Busi riflettono le interpretazioni che ogni religione ha dato a questo avvenimento, dall’antichità ai giorni nostri. Un ambizioso itinerario che parte dalle Sacre Scritture (come nel caso della storia di Ester, il cui nome è una variante greca di Ishtar, la dea mesopotamica dell’amore) e arriva fino alle poesie di Alda Merini e di Livia Candiani.
Non sempre facile tenere il passo delle letture e degli approfondimenti, ma l’atmosfera e il rimbalzo tra musica e letteratura valevano il prezzo del biglietto.
“Il cielo stellato sopra di noi”, questo il titolo del libro scritto da Roberto Trotta, astrofisico con la passione per la divulgazione. Lo ha intervistato, nell’aula magna del Seminario, la giornalista scientifica Elisabetta Tola. “La mia opera è un viaggio nel tempo e nello spazio – così Trotta –per capire il senso delle stelle. Tutti abbiamo sempre alzato gli occhi al cielo, gli astri ci hanno plasmati e sono l’unico punto fermo capace di unire l’umanità”.
Le stelle sono alla base della Rivoluzione Scientifica del XVII secolo, ma guai a dimenticare il loro valore spirituale: le divinità, infatti, si trovano sempre nell’alto dei cieli. Oggi, tuttavia, si tende a separare nettamente l’astronomia (lo studio quantitativo dei corpi celesti) dall’astrologia, vituperata da molti scienziati in quanto non scientifica. In verità, ricorda Trotta, le due discipline sono collegate fra loro, se è vero che l’astrologia è alla base dell’astronomia. Del resto, i padri dell’astronomia moderna – tra cui Galileo – erano anche astrologi.
Questo era soltanto uno dei molteplici luoghi comuni che l’astrofisico ha voluto sfatare nel corso dell’evento. Un altro riguarda il presunto monopolio della scienza occidentale. “Nulla di più falso. Molti popoli australi e sudamericani hanno sempre posseduto una sapienza ancestrale riguardo ai fenomeni celesti”. “Un’esempio? Nel 1769, la società astronomica reale inglese organizzò una spedizione scientifica, capitanata dall’esperto James Cook. L’obiettivo era misurare il transito di Venere vicino al Sole (fenomeno che capita ogni 108 anni), per poter calcolare la distanza dalla Terra al Sole. Per effettuare le osservazioni, gli inglesi approdarono a Tahiti. Lì, incontrarono un erede della tradizione dei Polinesiani (che erano i migliori navigatori al mondo, pur non avendo mappe né strumenti), che si rivelò un aiuto fondamentale per trovare le rotte. Il tutto basandosi su ciò che vedeva in cielo”.
Un viaggio tra storia e scienza, dai Babilonesi – a cui si deve l’invenzione delle dodici tacche dell’orologio – fino ai giorni nostri. Scoprendo che, purtroppo, il cielo odierno è minacciato dall’inquinamento luminoso. “Fino a poche generazioni fa, la Via Lattea era ancora visibile dalle strade di Londra. Nell’Ottocento, Emerson scriveva che se un uomo vuole riconnettersi al sublime, deve guardare le stelle. Oggi, però, il cielo sublime è in pericolo. Infatti, negli ultimi anni una delle aziende di proprietà di Elon Musk ha lanciato in orbita 11 mila satelliti artificiali”. Dunque, molti dei punti bianchi che osserviamo al buio sono dei satelliti. Il loro danno è enorme: “Non solo la loro presenza rovina le immagini satellitari, ma bisogna anche ricordare che, quando essi decadono, riempiono la ionosfera di metalli pesanti, che distruggono l’ecosistema”.
La catastrofe ecologica si estende al cosmo, un aspetto questo che tende ad essere trascurato dai media.