
Intervista a Giovanni Pasetti, da settembre presidente della Fondazione
Una laurea in fisica e una specializzazione in informatica è probabilmente l’ultima cosa che ci si può aspettare da Giovanni Pasetti: scrittore, curatore e organizzatore di mostre, uomo politico e di cultura a tutto tondo.
“Al Liceo Virgilio mi destreggiavo bene nelle materie classiche ma anche in matematica e fisica. C’era una professoressa che cercava studenti da instradare all’università verso quelle facoltà scientifiche, e mi caldeggiò la scelta. I miei erano scettici - l’alternativa era Lettere - ma io avevo sete di conoscere anche quel mondo e mi diedero mano libera. Devo dire che pur essendo stata durissima, come per tutti quelli che arrivano dal ginnasio alle facoltà scientifiche, ho avuto le mie soddisfazioni: specializzandomi in informatica, ramo allora ai primordi, ho avuto modo di dare la mia tesi addirittura sull’Apple II (il primo home computer realizzato su scala industriale, presentato e commercializzato da Steve Jobs nel 1977: una pietra miliare del settore e il PC più longevo di sempre, ndr)”.
E l’amore per la cultura invece quando nasce?
“Liceo Virgilio a parte, lo devo ai miei genitori: mio padre era psichiatra ma appassionatissimo d’arte, in particolare antica e barocca. Mia madre al contrario amava l’arte contemporanea e moderna, per cui con l’uno e con l’altra andavo in giro per i musei d’Europa. Credo però che per la cultura e l’arte ci fosse in me anche qualcosa di insito, di innato. È un amore che mi ha sempre accompagnato, esploso quando sono arrivato alla quarantina”.
Torniamo alle sue attività e passioni: ha diretto riviste, curato mostre, scritto saggi e pièce teatrali, organizzato stagioni di teatro, sviluppato importanti progetti culturali...
“Sono molto legato agli ultimi due, soprattutto il progetto per il nuovo museo di arte contemporanea che sta nascendo a Palazzo Ducale. Grazie a un accordo tra la direzione e il Comune di Mantova, apriremo al pubblico i depositi di arte moderna mantovana. Ma ho anche partecipato, assieme a Stefano Scansani, al progetto del museo Virgilio. Trovavo un’assurdità che nella città natale del più grande poeta dell’antichità non ci fosse nulla; bene che nel frattempo abbia aperto anche il museo di Pietole. Credo che la sinergia tra questi due musei, col tempo, possa fare molto per la città. Noi pensiamo sempre che Mantova all’estero sia famosa solo per i Gonzaga e la Camera Picta ma in realtà, ad esempio nel mondo anglosassone, è famosissima per Virgilio”.
Su Wikipedia figure come "scrittore".
“Mi piace essere definito scrittore: quello narrativo è il lato di me forse meno conosciuto, ma ho sempre amato scrivere anche se è la cosa più faticosa del mondo. E poi operatore culturale non suona bene”.
Palazzo Te lo conosce da sempre: a parte tutte le esperienze nell’ambito dei sodalizi culturali della città, già negli anni 2000 era nel comitato scientifico del Centro internazionale d’Arte e di Cultura. Poi è stato consigliere e infine vice presidente. Chi le ha chiesto la disponibilità: il sindaco o il consiglio?
“Si è creata questa situazione per cui il dott. Voceri è stato nominato alla presidenza della Tea. Pur non essendoci incompatibilità, il sindaco Palazzi ha deciso per questa alternanza, chiedendo la mia disponibilità qualche mese prima. E non si può rifiutare la presidenza di una delle istituzioni culturali più prestigiose non solo d’Italia, in uno dei palazzi più belli del mondo, in cui il tuo ufficio è accanto a Giulio Romano...”.
A proposito: nelle associazioni culturali un amministratore “di professione” affiancato a uomo di cultura è quello che in genere funziona meglio. Due uomini di cultura dalla spiccata personalità come lei e Baia Curioni non rischiano di pestarsi i piedi?
“Speriamo di no (ride, poi torna serio). Se parliamo di cultura, qui ci sarebbe da pestare i piedi a decine di persone, dato che fortunatamente Mantova è ricca di donne e uomini di cultura non solo per loro passione privata, ma anche per il loro impegno pubblico”.
Per non far torto a nessuno degli attuali protagonisti della cultura virgiliana, chi ricorda con maggior affetto e nostalgia tra chi non c’è più?
“Direi Umberto Artioli, senz’altro. Perchè con lui ho avuto un rapporto forte fin da subito ma anche perchè la domanda mi suscita un ricordo d’infanzia. Mia madre mi accompagnò a vedere il Living Theatre, portato a Mantova proprio da Umberto. Ero un timido bambino di sette, otto anni, entrai in teatro ed ecco: buio, nebbia di scena egli attori tutti nudi (ride divertito). Questo è il mio primo, indimenticabile ricordo teatrale... Poi naturalmente lessi tutti i libri di Artioli, che oltre a tutto il resto è stato un grande saggista: ci siamo trovati molto bene l’uno accanto all’altro. Devo però fare anche un altro nome, quello di Giannino Giovannoni. Con lui non ho avuto una collaborazione di lavoro vera e propria ma di studi: sul Sacro Sangue, sulla Mantova medievale e non solo. Sono due grandi che se nesono andati troppo presto. Devo dire che purtroppo molti uomini di cultura ci hanno abbandonati in questi anni, anche precocemente: Campi ad esempio, per non dire dei fondatori de La Corte. C’erano Alessandro Gennari, andatosene a cinquant’anni (con lui c’è stata una grande amicizia, ancor prima del sodalizio culturale), Mario Benini e Adriano Amati: siamo rimasti solo Stefano Iori ed io. Ma fondamentalmente ricordo Umberto Artioli, anche perché le nostre affinità non si esauriscono in ambito culturale: entrambi abbiamo praticato via Roma in Consiglio Comunale. Umberto era veramente una mente superba e credo che i suoi scritti resteranno nel tempo, a partire dal celebre saggio su Antonin Artaud”.
I prossimi progetti?
“Attualmente sono concentrato sul progetto del museo d’arte moderna di Palazzo Ducale, dove ancora i locali sono sottoposti a ristrutturazione.
Tuttavia, quando mi trovo a passeggiare per strada penso soprattutto alle collaborazioni da sviluppare per Palazzo Te. A partire da Isaac Julien, l’artista che ci ha regalato l’anteprima mondiale di un’installazione - devo dire la verità - assolutamente splendida. Io sono un cultore più dell’arte dell’Ottocento e del Novecento che dell’arte contemporanea, ma quando c’è la bellezza... Invito tutti a andare a vedere la mostra entro la scadenza di fine gennaio, ne vale davvero la pena”.