Odori, salute, benedizioni. Persino un misterioso mostro nel lago di Mantova...
Per i francesi è “la mer”, un femminile che ha un sapore materno. Il mare come madre generatrice di ogni vita. Tutto nasce dall’acqua, risorsa inestimabile ma non interminabile (come stiamo imparando negli ultimi tempi).
Anche Mantova deve i suoi natali alle acque, circondata com’è dai laghi e dai corsi del Po e del Mincio. Una città che ha imparato a convivere con il proprio bacino idrico, sfruttandone i vantaggi commerciali ed economici. Ancora oggi, il profilo del centro gonzaghesco si specchia nelle sue placide (e stagnanti) acque.
Due illustri narratori mantovani hanno provato a narrare – nell’ambito della rassegna “Interno Verde” – alcune storie d’acqua. Negli ambienti di Casa Nuvolari, il giornalista Fabrizio Binacchi e lo storico Giancarlo Malacarne hanno deliziato il pubblico con aneddoti e leggende locali. Binacchi si è soffermato sulle acque “naturali”, quelle che lui ha raccontato negli anni di conduzione del programma tv “Linea Verde”. In particolare, tre sono i suoi ricordi legati all’acqua: “Il primo affonda le radici nella mia memoria infantile. Mi viene in mente la mia bisnonna, donna d’altri tempi (era nata sul finire dell’Ottocento), che mi portava a passeggiare in golena sul Po perché era convinta che l’aria di fiume facesse bene alla mia salute. Durante quelle camminate, l’acqua mi accompagnava con i suoi odori, tanto intenti che mi sembra di sentirli ancora adesso”. Un altro cassetto dei ricordi si apre e corre indietro ai primi anni da cronista, “quando noi giovani giornalisti ci chiedevamo se, prima o poi, i laghi sarebbero tornati fruibili dai mantovani”. Cosa che, in effetti, è avvenuta negli ultimi due decenni, grazie a politiche ambientali virtuose: oggi il parco periurbano che attraversa il perimetro lacustre è uno sfogo notevole per tutti.
L’ultima immagine suggerita da Binacchi è quella della fontana, “simbolo dell’importanza dell’acqua come elemento di rigenerazione urbana. D’altra parte, la scena più iconica del cinema italiano – nel film “La dolce vita” di Fellini – si svolge in una fontana…”.
Acque naturali, ma anche “frizzanti”. O meglio, leggendarie. La mitologia, si sa, trova albergo in ogni angolo, specialmente nel mondo acquatico. Giancarlo Malacarne ha rispolverato il nutrito repertorio epico legato all’acqua, in un affascinate viaggio tra storia, religione e fantasia. Punti di partenza, alcune acquasantiere sparse per Mantova. Una si trova nella chiesa di San Barnaba e presenta un’incisione che lancia un messaggio chiaro e potente: “Voglia tu irrorare il corpo con questa onda che purifica l’anima”. Nella Basilica di Santa Barbara, invece, le acquasantiere erano addirittura due, così come due erano i leoni posti all’ingresso. Nel tempo, però, le statue leonine e una acquasantiera sono finite a Quingentole, residenza del Cardinale Ercole Gonzaga nel corso del Cinquecento.
“L’acquasantiera rimasta – aggiunge Malacarne – ha una rana scolpita sul bordo, vicino ad un serpente che nuota nell’acqua. Le interpretazioni possono essere due: la rana come simbolo di resurrezione, capace di sfuggire al serpente demoniaco; oppure, in maniera opposta, la serpe come emblema del bene che esce dalle acque primordiali per creare il mondo e mangiare la rana fastidiosa”. Che la si pensi in un modo o nell’altro, al centro di tutto c’è sempre lei, l’acqua.
Dalle bollicine possono uscire – talvolta – mostri leggendari, avvistati da molti ma immortalati da nessuno. Lochness è il lago più “mostruoso”, ma come dimenticare la balena (o pescecane) di Pinocchio o quella che ingoia il profeta Giona. Il Lago Superiore non è da meno: si narra, infatti, che nel XVI secolo si aggirasse da quelle parti un enorme mostro spaventoso. La fonte è una lettera inviata, nel 1515, dal vescovo del Monferrato al giovane Federico II Gonzaga. Logico pensare che il prelato volesse far presa sulla mente del ragazzo attraverso una leggenda da brividi. Nata, ancora una volta, dalla profondità delle acque.