Nelle librerie la nuova opera di Nicolò Barretta. Un omaggio alla famiglia e al potere dei ricordi
Nicolò Barretta, da dove nasce l’idea di scrivere il nuovo libro “Il bambino del miracolo”?
“Nasce dalla volontà di esternare una serie di aneddoti che mio padre e mia nonna mi hanno raccontato quando ero adolescente. Li ho tenuti a lungo per me, poi ho pensato che potesse essere interessante diffonderli, così da fissarli sulla pagina scritta. Inoltre, questa storia di famiglia ambisce ad essere un esempio di quanto la Storia sia fatta non solo dai grandi personaggi, ma anche (e soprattutto) dalla gente comune e dagli episodi di vita vissuta”.
Quale valore attribuisce alla Storia?
“La Storia ha un valore incredibile, perché permette di riflettere sul passato e sul presente. Infatti, ciò che noi siamo è la conseguenza di ciò che eravamo. Soltanto conoscendo le nostre radici possiamo capire chi siamo. E poi la Storia riveste anche un ruolo sociologico, sia a livello generale che particolare”.
“Il bambino del miracolo” è stato concepito anche per finalità didattiche?
“Certamente. L’obiettivo divulgativo va di pari passo con quello didattico. Infatti, mi piacerebbe portare questo libro nelle scuole per parlarne con gli studenti e confrontare i miei ricordi di famiglia con gli aneddoti che i ragazzi hanno ascoltato dai loro parenti. Mi piace vedere la mia opera come una molla che possa spingere i lettori (soprattutto i più giovani)ad interessarsi alle proprie origini”.
Come ha reagito suo padre quando ha visto per la prima volta il volume pubblicato?
“Ne è rimasto molto colpito. Per lui è stata una grande emozione ripercorrere i ricordi di una vita e vederli apparire in un libro. Tra l’altro, gli sono grato per avermi aiutato molto nella fase di scrittura, attraverso le sue preziose testimonianze. Il libro, infatti, narra la storia dei suoi primi vent’anni di vita, dal celebre episodio del bombardamento fino al suo arrivo a Mantova, nel 1947, insieme ai genitori e ai fratelli Antonio e Amelia”.
È un libro di “rinascita”, sotto molti punti di vista…
“Sì, perché parla innanzitutto della rinascita della mia famiglia da quel terribile episodio capitato a mio padre e a mia nonna. Ma è anche la storia della rinascita di un intero Paese – l’Italia – dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Quelle stesse macerie nelle quali mio padre rischiò di restare imprigionato per sempre. Aggiungo che è un libro di rinascita anche per me: infatti, l’ho scritto in un momento doloroso della mia vita, perciò ha avuto un ruolo salvifico e mi ha permesso di rinsaldare il rapporto con mio papà. Anche per lui è stato un modo per rinascere, diventando testimone attivo di un periodo che oggi compare nei manuali di Storia”.
Uno dei temi portanti dell’opera è il viaggio…
“In effetti, è un libro che si sviluppa in diverse zone d’Italia. Tutto comincia da Napoli, città natale di mio padre, per poi spostarsi al Nord. Mio nonno Aniello, appuntato di pubblica sicurezza, fu inviato a prestare servizio prima a Trento, in seguito a Parma e infine a Mantova, dove si stabilì definitivamente con la famiglia. Mio padre ricorda bene i primi anni mantovani, tant’è che un capitolo del libro è dedicato alla Mantova degli anni Cinquanta. Ascoltandolo, ho scoperto com’era Valletta Paiolo ai suoi albori, quando al posto degli attuali viali c’erano distese di prati e rane che gracidavano. Sembrava un altro mondo. Infatti, le donne che abitavano nel neonato quartiere, quando dovevano andare in centro erano solite dire: Adman a vagh a Mantua”.
I capitoli sono arricchiti dalle illustrazioni di Raffaella Garosi. Come è nata la vostra collaborazione?
“Raffaella Garosi è insegnante di Arte presso l’Istituto Comprensivo di Borgo Virgilio ed è anche un’apprezzata artista e restauratrice.
“Lo scorso dicembre ho presentato La clinica dei misteri (il mio precedente libro) nella sua scuola e in quell’occasione le ho parlato del mio progetto. Le ho mandato la bozza del libro, chiedendole di realizzare dei disegni che dialogassero con la parte scritta. Nel giro di pochi giorni, Raffaella mi ha mandato una serie di schizzi astratti che mi hanno subito convinto, perché davano l’impressione di rendere vive le parole a cui erano affiancati”.
Nella parte finale del racconto – quella più romanzata – il suo alter ego corona il sogno di realizzare un docufilm sul bambino del miracolo. Accadrà anche nella realtà?
“Per ora è soltanto un sogno, però cercherò di realizzarlo. Sono già stato sui luoghi dell’accaduto, a Napoli, insieme a mio padre e ad un documentarista. L’edificio bombardato esiste ancora, si chiama Palazzo Buscio. È da lì che tutto è iniziato”.
“Se non la raccontiamo, la Storia scompare”. Parole sue, parole sagge. Non pensa che la società attuale stia correndo il pericolo di disperdere il valore del passato?
“Il rischio c’è, dal momento che il mondo in cui viviamo è sempre più frenetico e impedisce di fermarsi a guardarsi indietro. Ecco perché diventa ancor più importante riscoprire le nostre origini e interrogarci sul nostro passato. Fermiamoci a riflettere e non smettiamo di raccontare le storie, così come i nostri genitori e nonni le hanno tramandate a noi”.