Tanto clamore per la nuova vetrina della città, intitolata a un politico avversario dei giornalisti
Onestà, giustizia, libertà, coraggio”. Parole di Felice Cavallotti (Milano, 1842 -Roma, 1898) in Parlamento. Garibaldino, politico, scrittore. Fondatore dell’Estrema sinistra storica. A lui dedicata la piazza-vetrina di Mantova. Tirata a lucido con un milione e 117mila euro. Davvero bella. Magnum Gaudium. Parata di autorità. Banda cittadina. Musiche. Applausi. Persino il Canto degli Italiani. Apoteosi. Secondo il Vangelo di Mattia: “Si migliora la qualità della vita urbana”. Poi: “Rendere l’area più sicura”. Inoltre: “Aumentare il verde urbano. Infine: “Valorizzare il centro storico”.
Sfarzosa enfasi che lascia basiti. Spiazzati. Opera costosa (zio Paperone è di casa in via Roma). Obiezione (permessa?): non bastavano alcuni ritocchi all’esistente? Così da destinare briciole all’affamato e desertificato corso Umberto I. Meglio fare Felice il “bardo della Democrazia”. Piuttosto che infiorare il Savoia secondo re d’Italia (ucciso a Monza nel 1900). Quest’ultimo compensato dal ripristino (montagne russe!) di corso Pradella dedicato al padre Emanuele II (re galantuomo). Spiazzati, sì, dall’esuberanza (eccessiva, ça va sans dire) del battesimo laico (niente acqua santa). Neanche il Mantova fosse arrivato in Champions League... Folto rondò di popolo. Tutti (o quasi) entusiasti. Anche bimbi inconsapevoli nel tagliare il nastro inaugurale quasi si trattasse di una loro festa. Quelli che tacciono, acconsentono. Mah!
Allora una rinfrescatina didattica non deturpa il bel fatto. Il Cavallotti, appunto Felice, sarà pure stato glorioso politico. Ma guai a stuzzicarlo. Eterno nemico della stampa (pur essendo giornalista).
Nel 1892 querela il direttore (non certo di sinistra) della Gazzetta di Mantova per diffamazione. Alessandro Luzio (San Severino Marche, 1857 - Mantova, 1946) condannato. Costretto a emigrare per non finire dietro le sbarre. Tornerà a Mantova nel 1898 quale direttore dell’Archivio di Stato. Rientro reso possibile dalla morte del Cavallotti. Questi, carattere spregiudicato e “rosso” autoritario, affronta trentatré sfide a duello all’arma bianca. Sempre vincitore, senza mai uccidere. Ma il 6 marzo 1898 in una villa a Centocelle di Roma viene ferito a morte (la sciabola infilzata nella bocca) dal conte Ferruccio Macola (Camposanpiero, 1861 - Merate, 1910), direttore del giornale conservatore Gazzetta di Venezia. Sfida provocata dalla pubblicazione di una notizia relativa a una querela ai danni del deputato (guai toccarlo!). Cavallotti propone il duello e Macola, più giovane di vent’anni, accetta. Non doveva essere un duello all’ultimo sangue, ma forse qualcuno aveva interesse che Cavallotti morisse. Il direttore Macola, a seguito della vicenda (duelli leciti però non mortali), viene emarginato dalla vita politica e sociale. Nel 1910 si toglie la vita. Memoria storica su una piazza lucidata (ripetiamo“ bella”) senza badare a spese.
Qualcuno, maliziosamente, potrebbe trovare affinità tra passato e presente, tra protagonisti e giornalisti. Mentendo sapendo di dire la verità. E si resta davvero spiazzati davanti a siffatta enfasi estetica. C’è chi comanda e decide (a pieno diritto). Non sarà mai accettata una sfida a duello. Seppure incruenta e ad armi impari. Comunque, l’importante è che la città sia ... Felice.