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Chiacchiere biancorosse. Mantova - Padova 1-0. L'analisi della seconda vittoria di fila dei biancorossi
L'amore è il secondo dei sentimenti più belli, intensi ed emozionanti da vivere. Secondo soltanto perché il primo in classifica è una sua declinazione: l'AMORE RITROVATO (nella massiccia bellezza, granitica, del maiuscolo). Perdersi, dimenticarsi delle cose belle del passato, lanciarsi accuse che non tengono conto del trascorso insieme, piangere e disperarsi. Cercare soluzioni emotive esterne, illudendosi che fuori ci sia qualcuno di più bello e bravo che possa sanare ogni tua quotidiana disperazione. L'inizio di stagione del Mantova ci aveva raccontato, fino ad una settimana fa, proprio questo: la fine di un amore tra "mister e piazza", con tutte, e ben distinte, le fasi attraversate, come in un lutto: 1) shock e negazione ("non possiamo essere così scarsi, ma dove siamo finiti"; 2) rabbia (qui evitiamo le virgolette delle improperi a DS e Possanzini, ma ci siamo capiti); 3) tristezza e depressione ("è finita, siamo in C, l'unica squadra retrocessa già a novembre"); 4) accettazione ("non lo cambiano, ora col contentino del DS cercano di placare un po' ma non cambierà nulla, vedrai"). Eppure, lo scatto d'orgoglio delle emozioni e dei sentimenti era lì, dietro l'angolo: qualche timido segnale c'era stato già nelle settimane precedenti, ma le buone intenzioni (leggasi: qualità del gioco, conduzione e dominio della gara) non si erano tradotte nei fatti (leggasi: punti, anzi: vittorie). Sembrava di cullarsi tra le parole di Giorgio Canali "E chissà quando guarirà questo cuore anoressico | Condannato per l'eternità a girare in tondo, in tondo, in tondo, in tondo | Che risposte ci suggerirà questo vento dislessico | Che porta con sé solo nuvole, nuvole, nuvole senza Messico", fermi immobili nella contemplazione della fine, consapevoli che qualcosa si poteva fare ma senza riuscire a farla: un classico, nella fine degli amori.
Eppure, tante volte, basta un gesto. Basta tradurre, anzi: iniziare a tradurre, una volta, come esempio e partenza, una delle buone intenzioni (leggasi:un'azione corale, "da Mantova") in un fatto (leggasi: gol di Ruocco a Genova). E tutto cambia, può cambiare: ci si può, come da introduzione, ritrovarsi. Innamorarsi di nuovo. Tornare a scoprire quelle piccole cose (leggasi, nello specifico: il possesso palla, la qualità delle trame, la sensazione di avere il gioco in mano da artefici del proprio destino, l'intuizione improvvisa della verticalizzazione, il gol corale) che ti avevano fatto innamorare, che ti avevano fatto dire (vicendevolmente): "questo è quello giusto per me". Perchè, va ricordato, quello tra Possanzini (che qui usiamo come termine omnicomprensivo, per dire "tutto il suo staff di lavoro") e il Mantova era ed è un amore (vero) in cui ci si è scelti, ambo lati, pur se in periodi e modalità diverse. E come ogni amore (vero) vive anche di balbettii e dolori, di lacrimoni e notti insonni, ma anche di emozioni mentali, fisiche e dell'anima che vanno oltre ogni più rosea immaginazione.
Il peggio non è passato, i problemi ci sono ancora. Come dice qualcuno, "il malato è ancora in convalescenza" e la cura antibiotica non va mai interrotta prima della fine del ciclo del farmaco. Non bisogna fermarsi, dunque, a questa ritrovata embrionale emozione, ri-scoppiata fortissima e bellissima. Bisogna, da questa, prendere mattoncini e costruire, lentamente e pazientemente, con la consapevolezza che i momenti difficili sono sempre pronti a ripresentarsi. Ma con la (ritrovata) certezza di essere in possesso di tutti gli strumenti, anche emotivi (se non soprattutto dato che il calcio, checché se ne dica, è sentimento e passione) per poterne uscire fuori INSIEME (ci piace il maiuscolo anche qui).
Chiudiamo sempre con Giorgio Canali:
sarà un vento di fuoco
Chissà che altro cancellerà dal nostro cuore
Ma io sopravviverò | ho quasi un giro intero per capire il ritmo
E prendere l'onda di questo bolero.