Romanzo del mantovano Cristiano Ferrarese
C’è più di un motivo per consigliare la lettura di “Quarantamila”, romanzo finalista al Premio Biella Letteratura e Industria. L’autore è Cristiano Ferrarese, mantovano residente a Bristol, giunto alla quarta fatica narrativa. Per cominciare il periodo e gli avvenimenti, le cui portate non sempre hanno ricevuto un’adeguata attenzione. Siamo nell’autunno 1980 nella Torino non ancora ex capitale dell’auto. Mirafiori e Lingotto sono siti operativi, ed è proprio la Fiat lo scenario del libro. Nei suoi uffici sta prendendo forma un fenomeno che nessuno aveva previsto. Potremmo chiamarla una rivoluzione borghese, per altri una restaurazione. Comunque sia, un’inversione di tendenza. Un modo di concepire il lavoro diverso dal pensiero che esce dalle fabbriche.
Due mentalità opposte. Dottrina e spettanze, contro rigore e disciplina. Due metodi in cui si riconoscono i protagonisti del romanzo. Da un lato gli operai Josif Carlo Rosso e il padre, entrambi di stanza a Mirafiori. Per loro la priorità in quei giorni è evitare il licenziamento di diecimila lavoratori, la cui permanenza minaccia il futuro dell’azienda. Lo fanno attraverso gli strumenti in voga a quei tempi. Scioperi, cortei, contestando il sindacato perché ritenuto remissivo. Azioni che non penalizzano solo la produzione. Paralizzano Torino. Mettendo a rischio l’avvenire di una città, da sempre un tutt’uno coi destini dell’azienda. (Se la combinazione dei nomi Josif e Carlo vi lascia indifferenti, sappiate che monsù Rosso li aveva scelti in onore rispettivamente di Stalin e di Marx).
Dall’altro capo il signor Luigi, quadro Fiat, è l’altro protagonista. Un’ideologia meno tormentata la sua. Plasmata dal tempo, fatta più di doveri che di diritti. Nulla sembrerebbe accomunare questi uomini. Salvo la città dove risiedono e il medesimo datore di lavoro. Opposti nel modo di tifare, l’uno bianconero l’altro granata. E indovinate abbinati come.
Questi loro approcci procedono come le convergenze formulate da Aldo Moro. Paralleli e convergenti. La geometria li definirebbe un ossimoro, ma lo statista barese la vedeva diversamente. Sicuramente si riveleranno convergenti, al punto che il putsch diverrà inevitabile.
La storia procede alternando i punti di vista. Le loro giornate. Le strategie. Ferrarese, altro motivo in suo favore, si rivela un cronista onesto. Non sposa alcun partito, prende la mano del lettore e l’accompagna nella Torino di allora.
Una scrittura pulita, senza sussieghi sociologici, chiara e attendibile. Scorrono le aspettative delle famiglie, i sogni dei più giovani, la rabbia e la voglia di certezze. Attorno a loro la combustione avanza, coinvolgendo l’intero territorio. Fino all’atto finale. Al giorno, da qui il titolo, in cui i quarantamila – “gente seria” li definì Montanelli in quei giorni – porteranno le loro rivendicazioni per le strade di Torino. Riempiendole. La battaglia è cruenta, le conseguenze peseranno.
Particolare finale. Ogni capitolo del romanzo è abbinato, ma direi impreziosito, ai titoli delle canzoni. Scorrono Vecchioni e Lauzi, De Gregori e la Pfm. Sembra di sentirli. Come se la memoria musicale addolcisse l’asprezza della lotta.
Lorenzo Vigna