Storia e documenti sarebbero stati utili nell’ intervenire con consapevolezza senza dimenticare il “tejeto”
Dispiace che in tempi di democrazia partecipata ogni osservazione o critica sia puntualmente respinta al mittente affidando a illustri penne le difese d’ufficio. Respingendo le accuse di immobilismo o di coltivare “pensieri striminziti, borghigiani” e uno sterile provincialismo, mi permetto di sottolineare come, a volte, il confronto e appunto un approccio più partecipativo possa indurre a visioni più ampie.
La partecipazione, oltre che a cose fatte, potrebbe infatti essere praticata in fase progettuale, magari coinvolgendo gli attori culturali della città, affinché possano confortare (e beninteso non aprioristicamente osteggiare) le scelte di chi è stato incaricato della redazione del progetto. Questo in linea di principio, come questione di metodo, di tatto e di approccio alla città, non intesa con ottica principesca, ma appunto più partecipata, per una maggiore consapevolezza della cittadinanza nelle proposte, nelle scelte e nelle decisioni. La condivisione contribuirebbe peraltro (e senza alcun dubbio) ad accrescere la già alta popolarità e l’innegabile apprezzamento dell’amministrazione pubblica, chiamata a decidere e a scegliere per l’intera
collettività.
Premesso che nessuno ha nulla da obiettare sull’incontestabile necessità di riqualificare un’area che il Comune aveva il diritto (e anzi il dovere) di riconnettere alla città e alla Villa, qualche riflessione può essere avanzata, partendo dalla perentoria affermazione che la contestualizzazione del nuovo Parco Te è pienamente “filologica”. Di certo il nuovo Parco asseconda il carattere ludico del Palazzo gonzaghesco, la cui stravaganza non va però intesa come sinonimo di “ineleganza”, nonostante alcune volontarie, ma dotte, esibizioni muscolari.
È poi vero che esisteva il grande labirinto progettato da Gabriele Bertazzolo, il cui carattere ludico è innegabile e che richiamava un tema ricorrente e caro ai Gonzaga, tanto da rievocare i soffitti del vicino Palazzo di San Sebastiano (poi rimontati al Ducale) o il “labirinto concettuale” della giuliesca volta di Psiche. Sorprende però che di questo tema, o landmark gonzaghesco (per essere più internazionali), non venga evocato in alcuna suggestione.
Perdonando dunque qualche caduta di stile, le migliaia di fruitori inaugurali hanno comunque apprezzato le forme del nuovo Parco, come se si trovassero sull’attrezzato lungomare adriatico, o in un parco ludico, anche perché, forse involontariamente, esso ne evoca le suggestioni e le atmosfere gioiose. Le sgargianti piazzole fra loro comunicanti ed i giochi, gli zampilli d’acqua, gli effetti luminosi hanno immediatamente restituito un’atmosfera molto popolare, anzi per essere internazionali, molto POP.
Tanto si è fatto per essere degni di altre realtà transalpine e transoceaniche, che ci si è addirittura superati.
Difatti non si trova traccia di tante invenzioni (o perlomeno con simile incalzante densità) non solo negli
ingessati e seriosi giardini di Versailles (retaggio dell’odiato ancien régime), ma nemmeno nel vagheggiato
Jardin du Luxembourg di Parigi (elegantissimo e assai più esteso), o nel romantico Holland Park di Londra.
D’altra parte, non bastano un’ottantina di panchine disposte lungo l’anello assolato, che mai conoscerà il
refrigerio dell’ombra, per restituire le suggestioni di un capolavoro di architettura giardiniera, ma nemmeno quelle, meno paludate, del fortunato film hollywoodiano “Notting Hill”.
Insomma, sempre per non tradire la nostra radice “romana”, che nel Te di Giulio è più salda che mai, potremmo concludere con il motto latino Modus in rebus, un antico e saggio invito alla misura, alla riflessione su scelte e contesto, che attualizzato potrebbe aiutare a frenare (quanto basta) quei travolgenti e facili entusiasmi che crediamo possano farci un po’ meno provinciali agli occhi degli altri o forse solo di noi stessi. L’ansia di apparire e di essere diversi da quello che si è nasce da un conscio o inconscio senso di inadeguatezza. La Villa del Te, con tutta la sua magnificenza, è lì a ribadire la sua unicità universale e per ricordarci di non avere alcun complesso di inferiorità, anzi semmai ci chiede di essere noi all’altezza sua per restituirle quel contesto che troppo a lungo le abbiamo negato.
Che “nessun documento su come fosse congegnato il giardino gonzaghesco” e post gonzaghesco possa poi soccorrerci non è del tutto vero. Ad illuminarci in tal senso ci soccorrono gli studi raccolti negli atlanti “I giardini dei Gonzaga” pubblicati nel 2018 con il patrocinio del Comune di Mantova, del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, nonché dell’Unesco. Conosciamo dunque le qualità arboree e le essenze vegetali piantate nel corso dei secoli, abbiamo sotto gli occhi i disegni degli assetti realizzati o anche solo progettati, perduti o sopravvissuti, come quello in fregio al fronte nord della Villa. Le qualità arboree di quest’ultimo avrebbero potuto servire da legante, da filo conduttore fra vecchio e nuovo.
Ma non una menzione del “Tejeto”, di quei tigli che hanno, secondo tradizione, dato il nome all’isola.
Sebbene la storia non debba diventare oggetto di imitazione, essa certamente serve a conoscere e ad
intervenire con consapevolezza, arricchisce ed ispira le nostre scelte, alla luce di quanto fatto, o anche solo pensato, nei tempi passati.
Ultima annotazione: il giardino di Venaria Reale, a differenza di quello di Caserta, ha avuto un destino assai simile a quelli del Te. È morto e solo di recente è risorto. Nei primi anni Duemila è stato progettato e piantato per restituire la suggestione di una fra le più celebri e decadute residenze sabaude. Operazione sulla quale si può discutere, ma che ha avuto il merito di rilanciare, con un approccio almeno nelle intenzioni più filologico, una reggia ridotta a vero e proprio rudere.
Una scelta, se vogliamo, alla francese, non intesa come sterile grandeur (di quella ne abbiamo in abbondanza), ma volta a restituire al luogo se non le forme, la sua dignità storica, il suo intimo significato di parco principesco, oggi aperto a tutti, ma senza essere POP.
Ernesto Cristiano Morselli
Architetto
presidente Italia Nostra
Mantova