Chiusura con il gran botto

18 Set 2023 | Palcoscenico, Tutti gli articoli | 0 commenti

Opera Festival Arena. Successo pieno (e annunciato) per l’edizione numero 100


Si è chiuso sabato 9 settembre il 100° Opera Festival dell’Arena di Verona. Traguardo forse neppure immaginabile quando la prima volta entrò in Arena l’opera lirica, più di un secolo fa. Il Festival veronese è sopravissuto a due Guerre Mondiali, forte delle profonde radici popolari che alimentano il melodramma. Oggi è un fenomeno internazionale di rilevante importanza culturale, sociale ed economica, che pone la città di Verona al centro dell’attenzione mondiale.
Il traguardo delle “Cento volte la prima volta” meritava una celebrazione speciale, e la Fondazione Arena di Verona, con il Sovrintendente Cecilia Gasdia in testa, ha profuso un impegno davvero notevole perché l’obiettivo fosse raggiunto. Certamente ci sono state critiche, sempre e comunque inevitabili nel nostro paese, ma la partecipazione al Festival praticamente di tutte le più acclamate voci liriche del mondo è già di per sé la testimonianza sia dell’eccezionalità del traguardo raggiunto, sia dell’efficacia organizzativa della Fondazione. E poi ci sono i numeri a parlare! Numeri dei titoli portati in scena, numeri delle alzate di sipario in due mesi e mezzo di Festival, numeri delle masse impiegate: coro, figuranti e comparse, operatori di palcoscenico; numeri imponenti, che dicono delle grandi risorse umane e professionali che sono state messe in campo.
A questo sforzo organizzativo ha corrisposto, per quanto abbiamo potuto constatare con i nostri occhi, una importante e significativa riposta del pubblico, soprattutto internazionale, del quale tuttavia conosceremo l’esatta consistenza quando sarà presentato il consueto bilancio consuntivo della manifestazione.
Per il momento abbiamo negli occhi lo spettacolo di un’Arena gremita di pubblico, dalla platea fino al gradone più alto (a occhio 12-13mila spettatori!), in occasione della chiusura del 9 settembre. In scena La traviata di Giuseppe Verdi, il melodramma più rappresentato nel mondo. Protagonista nel ruolo del titolo la star per eccellenza, il soprano Anna Netrebko, che aveva inaugurato il Festival con l’Aida del 16 giugno e che ha voluto chiuderlo con un’unica recita nei panni di Violetta Valery: recita “storica”, giacché la Netrebko, esplosa alla ribalta internazionale nella Traviata del 2005 al Festival di Salisburgo (ma il debutto nel ruolo era avvenuto con successo due anni prima al Wiener Staatsoper), e da quel momento interprete di riferimento per il capolavoro verdiano, da sette anni non cantava l’opera in teatro, a causa dei naturali mutamenti di vocalità, che suggerivano un adeguamento del repertorio.
Ma in omaggio al 100° Festival ha cantato la sua “ultima Traviata” – così ha detto, ma noi speriamo che non sia vero!
Lo speriamo perché, se anche il soprano russo non è più la belcantista di un tempo, insuperabile nell’ultima pagina da belcantista di Giuseppe Verdi, cioè recitativo-aria e cabaletta finali del I° atto di La traviata, ora che è diventata un soprano drammatico d’agilità, la Netrebko è pur sempre in grado col suo carisma, col suo fraseggio impeccabile, con la sua intensa espressività, con la formidabile tecnica vocale, di imprimere a Violetta Valery una maturità umana e artistica a dir poco avvincente.
Il canto, luminoso nel primo atto anche se il finale (“Follie, follie…”) non è stato sigillato dal sopracuto – che peraltro Verdi non mise in partitura – si carica di una ricca varietà di espressioni sentimentali nei due mirabili duetti del secondo atto, quello con Giorgio Germont e quello coll’amato Alfredo: ne esce, scolpita a tutto tondo, la figura di una donna fragile e nobile al tempo stesso, capace di slanci sovrumani d’amore e di sacrificio. Lo straordinario controllo dell’emissione in fraseggi che sembrano sospesi in aria (“Dite alla giovine” / “Alfredo, Alfredo, di questo core”), il legato sopraffino che dà pienezza di significati alla frase cantata e mai gridata (“Amami Alfredo quant’io t’amo”).
E poi, lo spessore corposo della voce in tutta la sua estensione, la chiarezza della dizione, sono tutti fattori di un canto che nel secondo atto ha toccato momenti di indimenticabile intensità emotiva.
Il terzo atto non è stato da meno: l’“Addio del passato” saliva dalla profondità dell’anima lacerata, dilatato nella drammatica chiusura su un filo di voce: stupendo, da brividi, accolto da una interminabile ovazione. E dopo l’emozionato ed emozionante duetto con Alfredo (“A Parigi, o cara”), la Netrebko chiudeva l’opera da eccelsa tragédienne.
Giusto ricordare anche la pregevole prova del baritono Luca Salsi nei panni di un Germont padre ricco di contrastanti affetti verso il figlio e verso Violetta, aristocratico nel portamento, controllatissimo nel canto che non scadeva mai in facili effetti (una rarità in questo ruolo!). Bel timbro tenorile e voce dotata di squillo sicuro e di ampia sonorità esibiva il tenore Freddie De Tommaso (Alfredo), non senza tuttavia una certa genericità nel tratteggiare il personaggio. Ben coperti i numerosi ruoli secondari.
Marco Armiliato guidava l’Orchestra e il Coro dell’Arena (Maestro del Coro Roberto Gabbiani) con la consueta solida professionalità e con indubbia esperienza dell’universo musicale areniano. Del compianto Franco Zeffirelli regia e scene, ancora in grado di suscitare applausi a scena aperta, ma francamente piuttosto datate. Applauditissimi i primi ballerini Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko.
Successo clamoroso, con numerose chiamate alla ribalta dei protagonisti, che salutavano a larghi gesti, e con gran parte della platea in piedi per una standing ovation indirizzata soprattutto a Anna Netrebko. r.c.

Roberto Chittolina

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