I Lombardi di nonno Pier Pizzi propone un allestimento sobrio e rispettoso della musica del Maestro

2 Nov 2023 | Attualità, Cultura & Società, Palcoscenico, Tutti gli articoli | 0 commenti

Parma accoglie con interesse il lavo del 93enne regista-scenografo

Roberto Chittolina
A 93 anni Pier Luigi Pizzi, architetto di formazione, ma da sette decenni regista, scenografo, costumista di fama mondiale, ha prodotto per il Festival Verdi di Parma un bel allestimento dell’opera I Lombardi alla prima Crociata, che ha raccolto il vivo consenso del pubblico e anche, nonostante qualche riserva, della critica, solitamente attestata su giudizi favorevoli per l‘eleganza di scene e costumi, sempre firmati dallo stesso Pizzi, ma non altrettanto benevoli nei confronti delle regie, giudicate poco approfondite e datate. Per questi Lombardi Pizzi è ricorso a una messinscena di sobria eleganza, giocata prevalentemente sul bianco e sul nero, con una grande piattaforma circolare, poco soprelevata al centro del palcoscenico, sulla quale agiscono i protagonisti e attorno alla quale si distribuisce il coro, che notoriamente ha grande importanza nell’opera. Nessun altro materiale scenico, ma un largo ledwall funge da fondale e riproduce le immagini digitalizzate delle ambientazioni previste dal libretto, immagini assolutamente realistiche, panoramiche, tanto nitide da sfidare la realtà: ad esempio, la piazza di Sant’Ambrogio, con la Chiesa sullo sfondo, sembra davvero abbracciare i milanesi che vi si sono raccolti (atto I, sc.I).

Dunque, massima fedeltà al libretto, ma soprattutto massimo rispetto della partitura verdiana, dalla quale parte l’operazione del regista, che in essa trova la chiave di lettura: I Lombardi, più che opera patriottica, come fanno pensare il tema della conquista di Gerusalemme e il fatto che la composizione segua immediatamente quella di Nabucco, dove lo spirito patriottico sta alle fondamenta, sono – a motivato giudizio di Pizzi – opera sperimentale, in cui Verdi ha cercato nuove e insolite soluzioni musicali, e da queste vuol partire la regia, dando ad esse anche un risalto visivo: sul palcoscenico salgono arpa e clarinetto a rappresentare alcune parti solistiche che Verdi pone in partitura, ma è soprattutto il violino ad assumere veste di personaggio quando dal proscenio “dà il la” all’orchestra – lo spettacolo inizia da qui! – e quando attraversa, nelle mani e sotto le dita della bravissima Mihaela Costea, l’intero palcoscenico per eseguire in solitudine lo straordinario “pezzo da concerto” che fa da preludio al terzo atto; e dopo gli applausi scroscianti a fine pezzo, il violino non esce di scena, ma assiste a lato allo svolgersi dell’azione, presenza costante, simbolica della centralità della musica.

Infatti già prima che iniziasse il melodramma, a sipario alzato ma nel silenzio generale, due figure femminili erano apparse in scena, la protagonista Giselda, che incide un lungo taglio nel fondale tutto bianco, e una violinista col suo strumento, che abbraccia Giselda, simboli evidenti del dolore che strazierà Giselda e della funzione consolatoria della musica; e ancora il violino compare nella mani di uno dei due bambini che Giselda accompagna in scena a fine opera, immagine simbolica di speranza e di pace, ideata da Pier Luigi Pizzi, che chiude così il cerchio della sua coerente lettura registica.
Analogo sviluppo coerente non ha di per sé la drammaturgia dell’opera, che mal sopporta lo scompaginato libretto di Temistocle Solera. Ne consegue una narrazione per quadri staccati, cui la regia tenta di dare unità almeno sul piano stilistico, che come sempre in Pizzi è rigoroso, ma che non riesce ad evitare una certa staticità, dovuta anche all’impianto scenografico, opera anch’esso del regista, che firma altresì i costumi atemporali, dalle linee semplici, curatissimi negli accostamenti cromatici.

Difficilissima da mettere in scena, l’opera del giovane Giuseppe Verdi, rivisitata dall’ultra novantenne Pizzi, ha offerto un valido esempio – oggi alquanto raro – di rispetto totale della musica, di serietà e umiltà professionale, di gradevole e apprezzato impatto sul pubblico.
Certo non avrebbe guastato una più approfondita definizione dei caratteri, apparsi a tratti un po’ di maniera. Ha sopperito l’esperienza teatrale e vocale dei cantanti, a cominciare da Michele Pertusi, veterano nel ruolo di Pagano: la voce, ancora ben salda e profonda, ha supportato un’interpretazione mirabile per intelligenza, per incisività di fraseggio, per senso della misura del delineare l’uomo ”cattivo”; a lui il favore più appassionato del pubblico.
Soprano di gran classe si è confermata Lidia Fridman, che ha presenza carismatica e vocalità sostenuta da ottima tecnica e da trasporto sentimentale: il timbro, forse, non è dei migliori, ma l’intensità interpretativa è fuori discussione: a lei un uragano di applausi dopo l’aria “Oh madre, dal ciel soccorri” cantata con accorata delicatezza.

È piaciuto molto il tenore Antonio Poli, che ha delineato con slancio giovanile un Oronte dalla vocalità potente, luminosa e ben proiettata in acuto. Bravo e convincente anche il secondo tenore, Antonio Corianò, nobilmente calato nei panni di Arvino. Altrettanto apprezzata per solida vocalità e appropriata presenza scenica, Giulia Mazzola nel ruolo di Viclinda. A completare l’ottimo cast vocale sono intervenuti validamente Luca Dall’Amico (Pirro), Lorenzo Mazzucchelli (Acciano), Zizhao Chen (Priore di Milano) e Galina Ovchinnikova (Sofia).

Ottimo il Coro del Teatro Regio (maestro del coro Martino Faggiani), a lungo applaudito dopo il suggestivo “O Signore, dal tetto natìo”.
Alla guida della Filarmonica Arturo Toscanini (in buca) e dell’Orchestra Giovanile della Via Emilia (all’interno) c’era il maestro Francesco Lanzillotta, che portava i segni di un recente, brutto incidente stradale, ma che ha saputo cogliere e mettere in evidenza gli aspetti innovativi e sperimentali della variegata partitura verdiana, offrendone peraltro una lettura sempre tesa e vigorosa.
Parma, Teatro Regio, recita del 15 ottobre 2023.

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